Perché in tanti blog, sui giornali, in televisione si parla della cultura della sicurezza? Cosa intendiamo quando usiamo questi termini? Non sembra qualcosa che si mangia, eppure a guardare bene sembra che ne manchi un bel po’. Vediamo insieme perché
Per cultura della sicurezza si intende l’insieme di credenze, percezioni e valori che i lavoratori condividono in relazione ai rischi all’interno di un’organizzazione, ad esempio un luogo di lavoro o una comunità (fonte Wikipedia)
Cosa significa nel concreto?
Immaginiamo un lavoratore che viene incaricato di cambiare una lampadina dell’ufficio, va in magazzino, prende la lampadina di scorta e arriva nell’ufficio dove si trova quella bruciata. Non ha una scala pertanto sale sulla sedia, prosegue sul tavolo. Allunga le braccia per arrivare al lampadario, ma non ci arriva e la scala è in magazzino. Ormai è lì, non può perdere altro tempo per cambiare una semplice lampadina, quindi mette la sedia sul tavolo, si arrampica e cambia la lampadina
Probabilmente a molti di voi lettori non sembra esserci nulla di strano, anzi possiamo considerare il lavoratore intraprendente che non ha perso tempo, si è arrangiato senza chiedere aiuto ad altre persone, ha risolto il problema e soddisfatto la richiesta.
Ha manifestato un modo di risolvere i problemi, uno stile dell’azienda. Nelle aziende i lavoratori si adattano alle regole (scritte e non scritte) che vengono applicate tutti i giorni. Imparano ad affrontare i problemi con un metodo che è il più consono allo stile dell’azienda, perché accettato dai più, apprezzato dai capi, comodo per il lavoratore che ottiene il massimo risultato con il minimo sforzo.
In realtà è un lavoratore che non va lodato, perché non ha dimostrato professionalità.
Cosa sarebbe successo se per cambiare una lampadina fosse caduto dal “castello di carte” costruito per arrivare al soffitto? Oltre all’eventuale infortunio (a volte mortale, a volte no), quante persone sarebbero state coinvolte perché un lavoratore si è arrangiato con quello che aveva a disposizione?
Se fosse caduto, quale perdita di tempo ci sarebbe stata per gestire i controlli delle autorità, le assenze del lavoratore, la mancata produttività, … In sintesi, quali costi sarebbero stati sostenuti?
Se ti stai chiedendo perché non ha dimostrato professionalità te lo spiego subito.
Se a te che stai leggendo viene chiesto di cambiare una lampadina (in casa come al lavoro), ti deve essere ricordato che la lampadina si trova in un lampadario sul soffitto? E se è così in alto, ti deve essere ricordato di prendere una scala perché altrimenti non ci arrivi?
Inoltre, la scala era presente (in magazzino) e in molte nostre aziende è presente: non verrete a dirmi che mancano i soldi per comprare una scala, quindi non si dispone di un’attrezzatura (la scala) perché è un costo eccessivo, oppure è un costo inutile?
La realtà è che dobbiamo conoscere la storia e capire da dove veniamo per renderci conto dove stiamo andando. Nel secondo dopoguerra il nostro Paese è stato oggetto di un grande boom economico. I bombardamenti avevano distrutto tutto, l’edilizia era incentivata per dare case a tanti lavoratori. Molti si spostavano al Nord perché l’industria viveva un ottimo periodo di sviluppo, grazie alle nuove tecnologie, principalmente la chimica, che permettevano di ottenere le stesse cose di prima a prezzo più basso. Famoso lo spot pubblicitario della Moplen per cui gli oggetti diventavano leggeri, resistenti, ma soprattutto economici.
Negli anni 50 quindi la preoccupazione era di fare, fare, fare perchè le opportunità per fare soldi erano dietro l’angolo. Insomma, una specie di far west dove gli uomini di buona volontà potevano riscrivere il proprio futuro.
In quegli anni però le statistiche INAIL ci dicono che morivano 4000/5000 persone all’anno (stiamo parlando di 10/13 persone al giorno che morivano per il lavoro)
Come mai tutti questi morti? Qual era il problema?
Potremmo sintetizzare dicendo che le persone lavoravano senza fare attenzione, in realtà dobbiamo dire che lavoravano arrangiandosi come il lavoratore di prima, facendo del loro meglio per risparmiare e guadagnare il più possibile. Sia ben chiaro, non lo facevano coscienti di rischiare la pelle di qualcuno: i morti o gli infortunati arrivavano per inesperienza, per risparmio (forse considerato necessario, visto i tempi precedenti della guerra), ma soprattutto per mancanza di competenze. Ci si inventava un lavoro senza sapere i rischi che si correvano. La plastica della Moplen, l’amianto, i “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin, …
Tutto sommato questa laboriosità italiana ha fatto grande il nostro paese: aziende che sono diventate leader mondiali, alcune sono eccellenze invidiate da tutti, altre producevano e producono tutt’ora prodotti di qualità indiscutibile.
Il mondo però è andato avanti e le tecnologie sono cambiate: oggi la plastica vive un periodo negativo per l’inquinamento diffuso generato negli ultimi decenni, i computer sono diffusi per fare qualsiasi cosa (anche sostituire l’uomo), la globalizzazione ci mette in concorrenza con aziende estere meno costose, ma il modo di risolvere i problemi quotidiani è rimasto ancora quello.
Ricordo ancora che qualche anno fa, la vasca interrata della lavastoviglie perdeva acqua (sporca). Quando ce ne siamo accorti, sono andato sul mio computer a verificare come mai e cosa potevo fare. Ricordavo qualcosa in merito dai miei studi, ma essendo passato molto tempo, ho preferito “googlare” (come si dice oggi) e nel giro di dieci minuti ho trovato il problema: nel tempo si forma un tappo, basta romperlo con un bastone e si risolve tutto
Mentre io cercavo sul web, mio suocero con mio figlio, risolvevano il problema alla vecchia maniera: mio figlio con le braccia dentro la vasca (sporcandosi tutto) batteva le pareti della vasca in cerca del buco ostruito. A furia di battere (guidato da mio suocero che per la sua età sapeva cosa fare, ma non riusciva a farlo) ha trovato il tappo, l’ha rotto e l’acqua ha ripreso a defluire.
Due approcci diversi del problem solving, due culture diverse. Mio suocero non andrà mai a vedere su Google come fare ed abituato com’è dai suoi cinquant’anni di esperienza nel mondo del lavoro, farà sempre così. Più o meno capisce qual è il problema e anche se si sporca un po’, userà le sue mani (lo strumento più importante e fantastico che abbiamo) fino a quando a furia di tentativi riuscirà a risolvere il problema.
Io vengo da un’altra generazione, dove prima devo capire cosa fare e poi, in base alle informazioni raccolte, prendo le mie decisioni. Il tempo è uguale, ma almeno non mi sarei sporcato nel tentativo di capire, non avrei messo a rischio me, la mia pelle, i miei polmoni, …
Forse l’esempio è poco significativo per i rischi della sicurezza, ma il concetto è valido comunque. È il modo di affrontare le sfide quotidiane che richiede un cambio di pensiero. Poco o tanto il rischio, i problemi devono essere affrontati facendo le cose come si deve, ma comunque in sicurezza.
Alla fine degli anni Novanta stavo studiando nel mio primo corso sulla sicurezza sul lavoro in un centro professionale della nostra zona. Il professore, dopo averci spiegato come si fa una valutazione dei rischi, ci ha detto di andare in giro per la scuola e provare a farne una. Siamo entrati nel laboratorio di macchine dove i ragazzi imparavano ad utilizzare trapani, torni, frese, … macchine pericolose. Siamo andati dal professore del laboratorio, un ex capo reparto in pensione che prestava la sua esperienza per formare le giovani leve. La prima cosa che ci ha detto è stata che quando arriva una macchina nuova, gli tolgono le sicurezze, perché con quelle non si può lavorare.
Quando hai un insegnante che ti prepara in questo modo, cosa puoi imparare? Ovvio che macchine vecchie, ammodernate solo con le protezioni di oggi, non rendono come prima. Sono d’accordo.
Il problema sta nelle macchine: sono datate e si chiede che facciano cose che non sono coerenti con i tempi di oggi. Perché vogliamo questo? Per risparmiare certamente, in quanto comprare una macchina nuova, moderna, con tutte le sicurezze ha un costo che in molti non possono permettersi. Non metto in dubbio sia il primo pensiero che viene in mente ad un imprenditore attento ai costi.
In realtà, secondo me, il vero motivo è la resistenza al cambiamento insita in ognuno di noi. Siamo tutti esseri abitudinari. Le abitudini ci aiutano a fare meno fatica, a produrre di più in meno tempo, a semplificare le operazioni, oppure a velocizzarle. Il cambiamento invece è uno sforzo: dobbiamo imparare a far funzionare qualcosa di nuovo (una macchina, un cellulare, un televisore, …) e spesso, pur di non affrontare questa difficoltà, preferiamo rimandare il momento fino a quando saremo costretti dagli eventi.
Conosco alcune persone che non hanno lo smartphone, usano ancora telefoni di vecchia generazione, con le telefonate e gli sms. Si rifiutano di comprare lo smartphone perché dicono che non gli serve, che a loro basta quello che hanno. In realtà, semplicemente, non vogliono fare la fatica di imparare una cosa nuova. Aggiornarsi, ammodernarsi, significa sforzarsi, almeno inizialmente sperando che le cose migliorino. Quando però questo aggiornamento non viene fatto troppo a lungo, il salto per adeguarsi alla realtà potrebbe essere eccessivo.
L’imprenditore che non vuole cambiare telefono, per quasi quarant’anni ha usato le stesse attrezzature nella sua azienda, senza problemi, facendo il suo fatturato, lavorando per tutto questo tempo. Oggi si trova in difficoltà perché è costretto ad adeguare tutto alla normativa attuale e quello che ha in azienda è praticamente ferro vecchio. Gli costerebbe meno fare tutto nuovo, col problema che la spesa è talmente alta da diventare uno “sforzo” che vuole rimandare ancora (ma non può più farlo)
Conclusioni
Conosco imprenditori in vari settori messi nelle stesse condizioni: meccanici, ristoratori, gommisti, falegnami, … come ho avuto la fortuna di conoscere imprenditori che hanno tenuto la loro azienda aggiornata, hanno investito nella loro attività un po’ ogni anno.
Anche negli anni Cinquanta c’erano aziende che prosperavano e aziende che non riuscivano a pagare i conti, pur senza cultura della sicurezza, ma allora di cosa stiamo parlando?
Stiamo parlando di una cultura di fare impresa, dove la cultura della sicurezza è un accessorio oggi molto importante (sicuramente molto di più di quanto non lo fosse negli anni Cinquanta). Avere una buona cultura d’impresa significa rendersi conto di cosa è necessario e cosa no nel momento giusto e sapersi organizzare, con metodo e tanta pazienza. Negli anni 80 arrivarono i primi computer, ma non era necessario che tutti lo avessero. Oggi senza computer un amministrativo come farebbe a star dietro a tutte le scadenze, a pagare i conti, a verificare come va la situazione? Certo qualche piccolo business potrebbe ancora andare avanti con carta e penna, come si faceva una volta. Quanti però?
Quindi la cultura della sicurezza va a braccetto con quella cultura del fare bene le cose altrimenti non si fanno. Si sposa con il fatto che se una cosa deve essere fatta, noi la facciamo. E siccome le cose le facciamo fatte bene, altrimenti non le facciamo, se una cosa deve essere fatta deve essere fatta bene
Le aziende che non hanno questa mentalità (vedi cultura) significa che sono destinate a chiudere? Non è detto, potrebbero andare avanti per molti anni, ma sicuramente se non adotteranno questa cultura nella risoluzione delle sfide quotidiane che ci pone il mercato, prima o poi potrebbero trovarsi di fronte ad una sfida troppo difficile per essere vinta
L’azienda potrebbe anche andare avanti, ma come viene segnata la vita di un imprenditore che perde un figlio per un infortunio sul lavoro della propria azienda? Se anche il business proseguisse, come cambierebbe la tua vita, se la persona a te più cara rimanesse invalida o peggio morisse perché non hai comprato una scala, non hai aggiornato una macchina, non ti sei adeguato ai tempi?
Questo ovviamente deve essere il pensiero a prescindere dal rapporto di parentela o dalla relazione con il lavoratore. Questi ragionamenti dovrebbero portarti a trovare il tuo metodo per organizzare il lavoro al meglio, in sicurezza, per il tuo tipo di azienda.
Non è avere un attestato nel cassetto o una bella relazione come Valutazione dei Rischi che dimostra la tua cultura della sicurezza. Solo quando, affrontando l’ennesima sfida della giornata, continuerai a chiederti:
- Cosa dice “quello” della sicurezza?
- Se lo facciamo così, che rischi ci sono?
- Quali attrezzature dobbiamo cambiare per farlo in sicurezza?
allora e solo allora potrai considerarti al sicuro, sapendo di avere un vero controllo della tua azienda.
Ricordati che i tuoi lavoratori si adattano a te, al tuo modo di pensare, insomma al tuo stile.
Fare le cose solo per avere il pezzo di carta non è fare sicurezza sul lavoro. Anzi, è il modo migliore per far sì che qualcuno sbagli, si distragga, faccia un errore banale e tu ti troverai a gestire un infortunio. Questo è dovuto al fatto che se fai carta al posto della sicurezza vera, i tuoi lavoratori percepiranno che la sicurezza non è importante, che indossare la mascherina correttamente è un fastidio, per cui cercheranno di evitare il più possibile il problema. Se la sicurezza è carta, che importanza ha utilizzare le protezioni per non farsi male? Cosa importa se non viene fatta la manutenzione regolarmente? Tanto è solo carta
Ai posteri l’ardua sentenza
La Sicurezza sul Lavoro ti uccide (se non sai come si fa)