Considerazioni introduttive
Il 2021 è stato, indubbiamente, l’anno dell’effettiva ripresa delle attività economiche e sociali dopo il lockdown dell’anno precedente, provocato da Sars-Cov-2; ma è stato anche l’anno in cui, forse a distanza di oltre un decennio, si è riproposto nuovamente il problema del rapporto uomo–macchina che, tutto sommato, dopo il definitivo consolidamento della disciplina sulle attrezzature di lavoro, grazie anche al D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 17, sembrava aver trovato una sia pur parziale soluzione. Invece, la tragica scia degli infortuni, anche mortali, registrati soprattutto nel periodo maggio-luglio del 2021, derivanti anche dalla disabilitazione se non, addirittura, dalla manomissione dei sistemi di sicurezza in dotazione dei macchinari, ha rimesso al centro dell’attenzione la questione dell’effettività e dell’efficacia dell’attività di vigilanza delle figure cardine della cosiddetta catena di “comando e controllo” . Proprio questo scenario, a tinte scure, ha indotto il governo ad apportare con la “mini riforma” del D.L. n. 146/2021, subito ribattezzato decreto “fisco e lavoro”, importanti modifiche alla disciplina del cosiddetto “testo unico” , in materia di salute e di sicurezza su lavoro, operando un discusso giro di vite. Tuttavia, le innovazioni più significative sono state introdotte in sede di conversione, da parte del parlamento, con la legge n. 215/2021, e tra queste spiccano, in particolare, quelle riguardanti la figura del preposto, ossia la persona che all’interno dell’organizzazione del lavoro svolge, anche di fatto, compiti di sovra intendimento del lavoro altrui e di vigilanza attiva 1 ; esempi classici sono, in generale, i capi reparto, i capi ufficio, i capi squadra, i capi cantiere eccetera. Si tratta di modifiche normative che, a ben vedere, come vedremo, tutto sommato codificando i diversi orientamenti espressi negli ultimi anni dalla giurisprudenza.
La centralità della figura del preposto
Le cause di questa realtà sono molteplici, ma non va dimenticato che nel D.Lgs. n. 81/2008 emerge in modo netto la centralità di questa figura all’interno del meccanismo previdenziale; infatti, nella riforma compiuta nel 2008 il legislatore ha puntato principalmente proprio su questa figura, mutando profondamente le sue funzioni originarie delineate all’interno della disciplina tecnicistica degli anni Cinquanta, riconoscendo alla stessa una posizione strategica ai fini della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, attraverso una profonda rivisitazione dei suoi obblighi orientati ora ad assicurare una vigilanza attiva sui lavoratori basata, quindi, anche sull’esercizio di un funzionale potere d’iniziativa. Infatti, si è passati, quindi, da una vigilanza “passiva”, di mero controllo, a una molto più incisiva svolta dal preposto definito appunto come la «persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa», del D.Lgs. n. 81/2008, che com’è noto stabilisce gli obblighi specifici del preposto, mettendo ora in piena luce la figura del preposto quale “gestore del rischio”. Per effetto di questa novella, infatti, il preposto non solo è tenuto, come in precedenza, a sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei Dpi messi a loro disposizione; ma, in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni, impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, ha anche l’obbligo d’intervenire per modificare il comportamento non conforme, fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. Inoltre, in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza, è suo ulteriore obbligo interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti. Per altro, questo dovere d’intervento è stato ulteriormente esaltato con l’aggiunta, sempre nel comma 1, del citato art.
Le prassi di lavoro scorrette e la giurisprudenza
Queste modifiche, quindi, mettono nero su bianco gli orientamenti espressi in questi ultimi anni dalla copiosa giurisprudenza di legittimità sul ruolo gestionale disegnato per il preposto dall’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008 che, pertanto, ha anche il dovere d’intervenire nel caso s’instaurino delle prassi di lavoro scorrette e interrompere l’attività qualora mettano in pericolo la salute e la sicurezza dei lavoratori. In particolare, proprio il concetto di “gestore del rischio” è stato coniato dalla Cassazione, come emerge nitidamente da due importanti recenti sentenze che cronologicamente hanno anticipato solo di qualche mese le citate modifiche all’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008, da parte del D.L. n. 146/2021 che meritano di essere brevemente richiamate, particolarmente utili per una migliore comprensione dei caratteri della posizione di garanzia ricoperta dal preposto. La prima, infatti, è la sentenza della sez. IV pen., 15 febbraio 2021, n. 5796; la vicenda riguarda un grave infortunio capitato a un operaio durante l’utilizzo di una macchina segaossa, a causa della disabilitazione della protezione di sicurezza. Dagli accertamenti compiuti dagli ispettori è emerso che la manovra di utilizzo della macchina senza l’apposita protezione era abituale per l’infortunato e per i suoi colleghi, ed era finalizzata « sia pure imprudentemente a velocizzare la prosecuzione del ciclo lavorativo »; purtroppo un classico. Inoltre, è anche emerso che il preposto era a conoscenza della prassi di lavoro scorretta seguita dai lavoratori, ossia di utilizzare la macchina in questione « con la protezione disabilitata e, pur avendo proprio questo incarico, nulla ha mai fatto per impedire tale scorretto e pericoloso utilizzo ». Pertanto, la causa dell’infortunio era stata, quindi, una prassi di lavoro scorretta tollerata dal preposto, mentre la condotta del lavoratore pur se imprudente non è stata di per se abnorme. La Cassazione nel confermare, quindi, la condanna del preposto per il reato di lesioni personali colpose con violazione delle norma antinfortunistiche ha evidenziato, riprendendo alcuni suoi precedenti orientamenti, che nell’ambito della sicurezza sul lavoro « emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l’uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie»; rispetto a ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare e il « garante è il soggetto che gestisce il rischio», quindi, colui al quale deve essere imputato l’illecito, qualora l’evento si sia prodotto nell’ambito della sua sfera gestoria. Di conseguenza, alla luce di questi principi, anche il preposto è da considerarsi, al pari del datore di lavoro e del dirigente, un gestore del rischio e, conseguentemente, ha una responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale, come appunto nel caso di specie in cui l’imputato non ha assolto ai suoi doveri previsti dall’art. 19 D.Lgs. n. 81/2008, in quanto ha omesso d’intervenire, interrompere l’attività pericolosa e comunicarlo ai propri superiori per l’adozione dei provvedimenti del caso, obblighi che quindi già si potevano ricavare dalla versione originaria del predetto articolo. La stessa linea interpretativa, sia pure da una diversa angolazione, è stata seguita sempre dalla Cassazione, sez. IV, nella sentenza 3 maggio 2021, n. 16690; in questo caso la vicenda processuale trae origine da un infortunio mortale accaduto durante i lavori di ammodernamento di una tratta ferroviaria. Un operaio intento a effettuare con un collega la pulizia di una macchina rincalzatrice parcata sul binario morto, improvvisamente, a causa di un urto causato da una macchina profilatrice condotta da un altro lavoratore, si spostava indietro schiacciando la vittima contro la barriera protettiva. Ebbene, anche in questo caso la Cassazione ha fatto riferimento, sia pure più velatamente, al concetto di gestore del rischio, confermando la condanna del preposto per il reato di omicidio colposo con violazione delle norme antinfortunistiche , in concorso con il lavoratore conduttore della macchina profilatrice, a causa del mancato coordinamento dell’attività delle squadre e della mancanza vigilanza delle attività durante lavori all’interno di un cantiere. In particolare, i giudici hanno contestato all’imputato un “difetto d’ordine” in quanto, proprio nell’attività gestoria del rischio, nell’impartire le disposizioni sull’operazione da compiere infatti l’ordine di procedere allo spostamento della macchina profilatrice era stato dato dallo stesso non si era accertato preventivamente della sussistenza delle condizioni di sicurezza.
Ritorsioni sul preposto e sanzioni per datore e dirigente
Per garantire al preposto di assolvere al meglio questo “nuovo” ruolo, come già accennato, con la legge n. 215/2021 sono state introdotte anche alcune importanti tutele; infatti, al comma 1, dell’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008, è stata inserita la nuova lett. b-bis, in base alla quale i preposti non possono « subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività» Sotto quest’ultimo profilo, già da risalente alla giurisprudenza, è noto che i provvedimenti assunti dal datore di lavoro come, ad esempio, il licenziamento, le sanzioni disciplinari, il demansionamento, il trasferimento di sede eccetera, hanno natura ritorsiva quanto sono adottati a causa dell’esercizio legittimo di un diritto da parte di un lavoratore e, di conseguenza, sono nulli. In merito, va ricordato in particolare che, con riferimento al licenziamento ritorsivo, si tratta di un’ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro, essenzialmente di natura vendicativa, a un comportamento legittimo del lavoratore e inerente a diritti a lui derivanti dal rapporto di lavoro o a questo comunque connessi, che è da ritenersi connaturata da una maggiore gravità quando tale reazione segue un comportamento del lavoratore, quindi anche del preposto, che adempie a un determinato obbligo imposto dalla disciplina antinfortunistica. 3 E proprio la gravità di queste condotte datoriali, a fronte di un comportamento del preposto che non ha fatto altro che osservare gli obblighi posti a suo carico dall’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008, spiega anche il perché il legislatore abbia previsto, in tale caso, che il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con la sanzione dell’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro -bis, che stabilisce espressamente l’obbligo per il datore di lavoro e il dirigente d’individuare i preposti, pena l’applicazione della sanzione dell’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro . Sta facendo molto discutere questa previsione e una parte della dottrina, forse la meno accorta, parla addirittura di novità “assoluta”; invero, l’obbligo d’individuare i preposti già era desumibile, in generale, da diverse disposizioni del D.Lgs. 81/2008 , ma non sembra operare per tutte le realtà ma solo in quelle in cui ha senso che il preposto venga individuato. Pertanto, appare evidente che ogni datore di lavoro, pubblico o privato che sia, avvalendosi anche del supporto dell’Rspp, dovrà necessariamente interrogarsi sul fatto di avere uno o più preposti, di averli già individuati in precedenza o di doverli individuare.
non c’è dubbio, però, che anche per effetto di altre discipline come il D.Lgs. n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti e la norma Iso 45001:2018 – appare pur necessario formalizzare la nomina o l’incarico o la comunicazione dei compiti di vigilanza di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008.
Il legislatore, infatti, ha previsto per l’individuazione la forma libera l’organigramma aziendale, comunque, continua ad avere la sua valenza fondamentale ma è consigliabile documentare l’adempimento in questione, anche per evitare possibili contenziosi con gli organi di vigilanza.
Il caso delle micro-attività Da osservare, inoltre, che sempre in merito a quest’ultimo profilo, alcune criticità sono state sollevate anche in relazione all’individuazione del preposto nel caso delle micro e piccole imprese, ossia la maggioranza del tessuto economico italiano, nelle quali quasi sempre non esiste un’organizzazione strutturata con la presenza della figura in questione. Questa situazione, in cui solitamente è lo stesso datore di lavoro a lavorare “sul campo” con l’ausilio solo di qualche lavoratore o di addirittura uno solo, pur se borderline in realtà è diffusissima. Sul piano applicativo, in questa ipotesi, in assenza ad esempio di un capo reparto, capo cantiere eccetera sembra percorribile la strada che sia lo stesso datore di lavoro a svolgere direttamente i compiti di vigilanza operativa sui lavoratori, riportando ad esempio ciò all’interno del Dvr. Del resto, non va dimenticato che il datore di lavoro è il titolare dei poteri direttivo-organizzativi e di controllo ; per altro la Cassazione ha anche affermato che residua « pur sempre in capo al soggetto datore di lavoro un obbligo di vigilanza del rispetto di misure atte a prevenire conseguenze dannose per la salute psicofisica del dipendente lavoratore al quale connettere la responsabilità ex art. 2087 del codice civile., salva l’ipotesi che la condotta del lavoratore si configuri come abnorme e del tutto imprevedibile». 4 Inoltre, la stessa Cassazione ha anche precisato che «Incombe sul datore di lavoro il compito di vigilare, anche mediante la nomina di un preposto, sulle modalità di svolgimento del lavoro in modo da garantire la corretta osservanza delle disposizioni atte a prevenire infortuni sul lavoro, in quanto il datore di lavoro deve vigilare per impedire l’instaurazione di prassi contra legge foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche».
L’obbligo di comunicazione negli appalti e i subappalti
Un’altra innovazione di rilievo riguarda, infine, l’appalto in cui, com’è noto, i lavoratori sono esposti anche ai rischi da interferenze, a causa della compresenza di personale di diversi datori di lavoro all’interno di uno stesso teatro lavorativo. La legge n. 215/2021, nel modificare l’art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008, norma generale e cardine dell’intera disciplina sulla sicurezza negli appalti, ha inserito il nuovo comma 8-bis, in base al quale i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori devono indicare espressamente al datore di lavoro committente il “personale” che svolge la funzione di preposto. Nella nuova norma è utilizzato, quindi, il termine generico di “personale” che, tuttavia, non trova alcuna definizione nell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008; ciò potrebbe, quindi, creare ulteriore confusione qualora prevalesse l’interpretazione corrente in materia lavoristica di personale inteso come dipendenti. La questione non appare, invero, di poco conto quando si tratta d’imprese appaltatrici e subappaltatrici di micro e piccole dimensioni; è pur vero, tuttavia, che il D.Lgs. n. 81/2008, non ha subito modifiche per quanto riguarda il principio di autonomia organizzativa del datore di lavoro , e in questi casi la soluzione scelta frequentemente in queste realtà, di comunicare lo stesso datore di lavoro come incaricato dell’attività di vigilanza sui lavoratori impiegati, appare, in effetti, una strada che, anche per i motivi citati in precedenza, sembra ancora percorribile anche se, invero, sono auspicabili chiarimenti in merito. Si osservi, infine, che la mancata comunicazione al committente del preposto comporta l’applicazione, in capo al datore di lavoro o del dirigente dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice, la sanzione dell’arresto da due a quattro mesi o dell’ammenda da 1.500 a 6.000 euro .